di Anna Tosin

Classe 3°B

Una storia di cuore e sentimento, raccontata agli studenti delle classi terze dell’ IC3 senza un microfono, perché in realtà una voce come questa, non va alterata. Così Anna Maria Fogarazzi ha voluto presentare la sua storia, il nostro passato.

La guerra è un mostro fatto di odio, rancore e violenza, che si inietta nelle persone e si intravede nelle loro iridi. Andrebbe cancellata, ma gli uomini sono troppo “desmentegoni” per imparare, dimenticano ciò che non fa loro comodo ricordare.

Un racconto di strette fosse profonde metri e metri in cui donne e uomini, torturati e mutilati, venivano gettati l’uno legato all’altro; metodi di uccisione studiati, nulla lasciato al caso, ogni foiba un numero, ogni pallottola un uomo sacrificato, ogni sacrificio altre cinque o più torture infinite e umilianti.

Anime incatenate alla morte da un filo spinato, anime uccise per la colpa di possedere una nazionalità non da loro scelta, anime le cui urla sono ancora impresse nella mente dei superstiti, che la notte sognano i fantasmi di coloro che non hanno salvato per paura.

Anna Maria racconta la sua famiglia, racconta il padre come la raffigurazione di un uomo buono, con la grande colpa di essere italiano, racconta se stessa e il dolore che si porta dentro.

“Una mattina una signora, una slava, entrò nella mia classe di scuola e fece il mio nome, avevo nove anni, mi prelevò e mi portò in una piazza con la mamma e le mie sorelle, affianco ad ognuna di noi un uomo armato”. Quel giorno lo descrive con lo sguardo basso e gli occhi chiusi. “Due soldati al primo comando del loro superiore posizionano una coppia di ragazzi, biondi e ricciolini, nel centro del piazzale; al secondo comando estraggono dal taschino un coltellino; al terzo cominciano ad uccidere, lentamente, per veder soffrire. Il silenzio che è calato in quel preciso istante è inimmaginabile, non ricordo le urla dei ragazzi, ho preferito rendermi improvvisamente sorda in quel momento.” Avrebbe voluto diventare anche cieca Anna Maria, ma la cattiveria altrui che la circondava l’ha costretta ad osservare l’uccisione, perché ritenuto suo dovere. “Ho giurato a me stessa, non a Dio, non alla Madonna, a me stessa, che quella storia io l’avrei raccontata”.

L’ha mantenuta la promessa, ma da un racconto di paura, Anna Maria Fogarazzi è anche riuscita a insegnarci ad avere speranza, perché quando ti viene tolto il tuo presente e le capacità di riprenderlo, puoi solo sperare che qualcosa o  qualcuno ti ridia il futuro che appartiene a te di diritto.

 

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